Comune: Modena
Provincia: Modena
Edicola: Edicola Canalchiaro di Rivieri Andrea


Quale é stato il momento del passaggio dall’età adulta all’infanzia? Non dico dalla vecchiaia perché sarebbe eccessivo. No, non mi sono sbagliato, non dall’infanzia all’età adulta, proprio il contrario.
Dopo alcuni anni di irrequietezze diverse, avevo preso coscienza che stavo sbagliando tutto. L’avevo notato anche parecchio tempo prima a dire la verità, ma in modo inconsapevole. Le avevo giudicate fantasticherie senza il senso delle proporzioni, addirittura un po’ scriteriate. Era una calda e indifferente giornata di aprile quando avevo posato lo sguardo su di lei. Durante una tarda colazione nel mio bar preferito, comodamente seduto con caffé e brioches, l’avevo vista. Avevo capito subito che sarebbe stata il mio destino. Per prolungare la visione avevo ordinato anche un succo di frutta e un’altra brioche. Non mi ero chiesto se si trattava solo di suggestione estetica destinata a svanire nel futuro o invece qualcosa destinato a durare una vita intera. Si trattava di qualcosa che partiva dalla mia prima giovinezza, quando ero vecchio quindi, che avevo rimosso senza saperlo. In quei momenti però tutto mi era chiaro, anzi ero addirittura in estasi dinanzi a quello che vedevo, e la sensazione diventava sempre più forte. E così era stato per parecchi giorni ed avevo dovuto frenare gli impulsi che avevo di farmi avanti, fino a quando non avevo rinunciato a resistere. Se penso alla mia prima visione, con quegli occhi sgranati, devo ricredermi e non so come ho fatto a non allungare le braccia per prendermi subito ciò che vedevo. Non sapevo che proprio in quei giorni ormai lontani avrei iniziato un’attività che sarebbe andata oltre ogni mio sogno più roseo, per la quale non é ancora arrivata la parola fine. Quei ricordi e quelle immagini si sono salvate dall’oblio dovuto agli anni trascorsi e ciò che stava per iniziare in quella primavera di cui ho parlato riguardava un piccolo negozio al numero 21 della via che ormai é diventata la mia vita. Fino a quel momento di assoluta libertà da impegni, ero frastornato dalle possibilità che avevo e dall’incapacità di decidere. Invece improvvisamente quella mia decisione non aveva traccia di calcolo o pianificazione, mi sembrava un’impresa per giganti e non mi attentavo a fare programmi per capire fin dove avrei potuto arrivare anche se sentivo che avrei fatto bene a farlo. Non ero preparato al pensiero di abbandonare la vita condotta fino a quel momento e entrare nelle responsabilità. Sarebbe stato l’inizio di una stupenda storia d’amore. L’oggetto di questo amore? Un’edicola. Pregustavo già alcuni assaggi di quella vita, non avevo più bisogno di cercare altrove ciò di cui avevo bisogno, i contatti sociali che avrei instaurato, la bacchetta magica della vita non mi dava alternative, dovevo salire un altro gradino, arrivare al secondo piano di una scala e ora che sono salito ancora e il mio volto é rigato di tante rughe, ritratto di tutto quello che ho fatto, oggetti, figure, attori principali e comparse che ho incontrato, illuminano o al contrario scuriscono tutto ciò che mi ha attraversato. Una volta presa quella decisione, tutto per me aveva assunto una luce differente, a quei tempi non sapevo ancora valutare tutti gli aspetti di vario genere. In quella zona, con gente frettolosa, indifferente e contraria ad ogni modifica delle proprie abitudini ancorata alle proprie radici e ai propri problemi, non era stato facile portare il messaggio che un’edicola non fosse solo una fermata rapida, ma occasione che potesse guidare a sdraiarsi sul pavimento, con le braccia tese, senza guardare una televisione che facesse chiudere gli occhi, a provare a leggere i punti di vista del mondo. Tutto questo non lasciava molto spazio, spazio che non si poteva trovare fra le case grigie, senza riflessi, senza specchi che illuminavano la loro giornata. A volte, chiuso nelle mie stanze, con l’immagine ferma di una parete vuota con solo un quadro a riempirla, mi sembrava strano non riuscire a fare capire il mio entusiasmo agli altri, come se le mie meditazioni tradissero i passanti della via. Non lo facevo solo per guadagnarmi da vivere, i miei clienti non erano solo nomi, vuoi che a un certo punto, come fosse nascosto dietro una porta chiusa fino a quel momento, arrivò un segnale, come lo scandire l’ora di un campanile, e mi riempì il pavimento, la poltrona su cui stavo, le pareti, interrompendo gli sbadigli che mi prendevano, facendomi scivolare via i dubbi e poi una risata liberatoria. Tutto si stava distribuendo, cadeva ogni incertezza, ogni oscurità. Non era più notte, ma luminoso giorno, seduto sul pavimento, vicino alla finestra, corpo e mente sospesi nell’aria a volteggiare come a guardare fuori dalla vetrata con le tende aperte. Adesso potevo dormire, allungarmi sul letto, ridere ancora, uscire dalla nebbia e trovarmi in uno spazio aperto pieno di luce, una risata della mente e del corpo che scavalcava i problemi e i dubbi, la nebbia si era aperta, mi sembrava di potere accarezzare quei muri, ero incapace di starmene fermo, avevo iniziato a camminare nella stanza gettando le braccia fuori dal corpo per scaricare l’agitazione. Già vedevo, immaginavo, le poltroncine in cui fare accomodare i clienti, il tavolinetto su cui appoggiare borse e borselli, ascoltarli, stare lì, vivere per un attimo in un mondo buono, un mondo vecchio e insieme nuovo e fuori un cielo finalmente azzurro, sempre azzurro.